lundi 27 mai 2024

«Ha giustiziato anche mio fratello. No al cordoglio, per noi è una festa»

L'intervista di Angelo Paura con Massoumeh Raouf per ilmessaggero.it è stata pubblicata il 22 maggio 2024 sia nella versione cartacea che sul sito. 

Il popolo iraniano ha bisogno della solidarietà dei popoli democratici». Il 4 maggio 1982 Massoumeh Raouf èevasa da una prigione di Teheran dopo otto mesi di detenzione.  Aveva 20 anni ed era stata arrestata nel settembre del 1981 in strada, con il sospetto di simpatizzare per il movimento Mojahedin del Popolo Iraniano. Oggi vive in Francia ed èuna scrittrice e una attivista per idiritti delle donne in Iran. Raouf ha perso il fratello nelle epurazioni del 1988, quando in pochi mesi vennero giustiziati oltre 30. 000 prigionieri politici. «Mio fratello Ahmad, che aveva 16 anni all’epoca, è stato accusato di complicità nella mia evasione, interrogato e torturato».


Alcuni paesi occidentali hanno accolto la morte di Ebrahim Raisi, inviando messaggi di cordoglio all’Iran senza tuttavia condannare le sue violenze. . .

«Ebrahim Raisi era soprannominato “il macellaio di Teheran” e la sua morte è stata una buona notizia per me e per il popolo iraniano, in particolare per le famiglie dei prigionieri politici giustiziati durante il massacro del 1988 e per quelle dei manifestanti uccisi.

Mio fratello minore Ahmed Raouf è una delle vittime della violenza di Raisi. La sua morte è per tutti i dissidenti iraniani una forma di giustizia».

Si tratta comunque di un incidente...

«Ma comunque una forma di giustizia, anche se imperfetta. Avremmo infatti preferito vederlo davanti a un tribunale internazionale rispondere dei suoi crimini contro l’umanità, la sua scomparsa pone fine all’impunità di cui godeva».

 Crede che la sua scomparsa possa essere l’inizio di un cambiamento per il regime?

«La morte di Raisi è solo una tappa in questo lungo cammino verso la verità e la giustizia e non deve far dimenticare gli altri responsabili ancora in carica che continuano a perpetrare violazioni dei diritti umani».

Da una parte ci sono i dissidenti e i cittadini iraniani che festeggiano, dall’altra un vuoto di potere che deve essere riempito. Cosa succederà adesso in Iran?

«Ali Khamenei si era preso un rischio calcolato nell’elevare Raisi nonostante il suo curriculum di violenze: mirava a creare una struttura di potere monolitica capace di resistere alle pressioni interne ed esterne. Raisi era considerato il candidato ideale per epurare i dissidenti e garantire un’obbedienza assoluta alla visione di Khamenei».

Insieme a lui aveva dato spazio al ministro degli Esteri, anch’esso morto nell’incidente...

«Amir-Abdollahian era un altro attore della strategia del regime nella regione. Conosciuto per i suoi stretti legami con Qassem Soleimani e con i suoi alleati, tra cui Hezbollah in Libano, i suoi sforzi diplomatici miravano spesso a rafforzare questi gruppi, a concludere vendite di armi e a fornire sotando il volto più legittimo della diplomazia iraniana sulla scena internazionale».

Lei da anni si batte per i diritti delle donne iraniane e ha scritto diversi libri sulle violenze del regime per eliminare il dissenso. Vede un’apertura?

«Con questo regime fascista-religioso non ci sono cambiamenti e il popolo iraniano lo sa molto bene. La conseguenza immediata di questo incidente è un profondo aggravamento delle crisi esistenti del regime. Sul piano interno, l’Iran è alle prese con importanti sfide sociali ed economiche, con un malcontento diffuso tra la popolazione. Il timore del regime è che questo incidente diventi un catalizzatore per le unità di resistenza, ricordando le manifestazioni scoppiate negli ultimi anni».

Come è riuscita a evadere dalla prigione in cui era detenuta in Iran?

«Sono stata arrestata nel settembre 1981 per strada: sospettavano che fossi simpatizzante dei Mojahedin del Popolo Iraniano. Il mio cosiddetto “processo” è durato so-lo dieci minuti. Senza alcun diritto alla difesa, sono stata condannata a 20 anni di prigione. Avevo 20 anni. Ma dopo 8 mesi, con l’aiuto delle mie compagne di cella sono riuscita a evadere. Quando i Pasdaran hanno capito che ero evasa, tutte le ragazze della cella sono state torturate e molte di loro sono state giustiziate nel massacro del 1988. Mia madre e mio fratello sono stati arrestati».

Quali sono le sue aspettative per il futuro dei diritti delle donne nel suo Paese?

«La mia vita può essere riassunta in tre parole: donna, resistenza, libertà. Il mondo intero ha ammirato le donne iraniane per il loro coraggio nell’insurrezione contro l’apartheid sessuale. L’obiettivo delle donne iraniane non è chiedere al regime questo o quel diritto. Vogliono cambiare il regime misogino dei mullah nella sua totalità».

Crede che il mondo occidentale debba aiutare questa resistenza?

«Il popolo iraniano ha bisogno della solidarietà effettiva dei paesi democratici di tutto il mondo per isolare il regime e riconoscere la sua alternativa repubblicana e democratica che respinge ogni tipo di dittatura, sia dello scià che dei mullah. Credo che sia solo questione di tempo e circostanze ma sono convinta che il regime finirà per essere rovesciato».

Angelo Paura


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